E dopo la violetta di Maria Luigia, il giglio dei Farnese. Luci e ombre del passato, nella Reggia di Colorno

Pubblicato il 5/05/2015


Il Palazzo Ducale di Colorno



Dopo il blitz olfattivo a Parma, sulle tracce della violetta odorosa tanto cara a Maria Luigia, la mia giornata nell'antico Ducato è proseguita a Colorno. Nel giardino storico della magnifica Reggia. si stava svolgendo infatti  "Nel segno del Giglio" , importante mostra- mercato di giardinaggio ispirata all'emblema floreale dei Farnese, signori del palazzo per oltre un secolo.

All'ingresso del giardino il profumo delle migliaia di fiori in esposizione quasi stordiva, ma non voglio parlare di questo, bensì dell'impressione riportata nelle  sale del palazzo e nella  Cappella Ducale, oggetto della visita guidata cui ho partecipato.

Lo confesso, le notizie storico-artistiche fornite in queste occasioni in genere mi annoiano un po'. Posso trovarle su qualunque libro. Per quanto è possibile, preferisco invece immergermi nell'atmosfera del luogo, cercando di captare l'eco delle vite che vi si susseguirono.




 

Anche stavolta, con un orecchio ascoltavo la voce della guida e con l'altro, quello interiore, il sussurro flebile di un passato ricco di luci e ombre.

Quali ombre? La decapitazione della contessa Barbara Sanseverino, ad esempio. Signora illuminata  e colta, che aveva trasformato la rocca militare trecentesca sui cui sorgeva il complesso in una dimora signorile, sede di un raffinato cenacolo letterario ed artistico rinascimentale.
Il preteso tradimento della contessa, a causa dei suoi rapporti con i signori di Mantova, Gonzaga e D'Este, fu solo il pretesto che Ranuccio Farnese aspettava per appropriarsi dei suoi possedimenti. 

La spoliazione del palazzo continuò nel tempo e a più riprese: prima ad opera di Carlo III° di Borbone, che nel 1731, alla morte dell'ultimo dei Farnese, divenne signore del Ducato di Parma e trasferì a Napoli molte collezioni e arredi, inclusa la magnifica pinacoteca creata da Barbara Sanseverino, ora esposta nel Museo di Capodimonte. 






Più tardi, il fratello Filippo di Borbone si riscattò in parte, affidando all'architetto Petitot e a maestranze francesi la ristrutturazione del palazzo. In onore della moglie Luisa Elisabetta (figlia del re di Francia Luigi VX) il complesso divenne così una piccola Versailles, con tanto di Teatro di Corte, nel quale recitò anche la compagnia di Carlo Goldoni.

Affreschi, marmi intarsiati, fregi, stucchi e dipinti testimoniano il fasto di quegli anni ma le sale, almeno quelle mostrate nella visita guidata, sono vuote. Vi chiedete perchè? Ve lo dirò più avanti...

Ripensandoci, mi chiedo se non sia stato lo spirito del frugale Ferdinando di Borbone, successore di Filippo, ad avere in qualche modo lasciato la sua impronta sul palazzo.

Molto religioso, amante dello studio e della contemplazione, egli infatti disdegnava il lusso, tanto che fece costruire i suoi appartamenti in un'ala diversa del complesso, appartata e decorata più semplicemente (si fa per dire...). 







La stanza che forse riflette meglio il carattere schivo ma colto di questo sovrano, è il suggestivo Osservatorio Astronomico. 

Ho atteso che il gruppo dei visitatori uscisse, non solo per fotografarlo, ma per assaporarne nel silenzio la particolare atmosfera.
Si può immaginare come Ferdinando vi abbia trascorso le sue ore più serene, sotto la volta affrescata con la Rosa dei Venti e le Costellazioni dello Zodiaco.  
Dalle finestre, distribuite su tutto il perimetro della sala, lo sguardo spazia a 360 gradi  sul torrente Parma, sui tetti del paese e sulla Cappella Ducale di San Liborio, con l'attiguo Convento dei Domenicani, anche questi fatti da lui ampliare e costruire.






Si dice che un lungo corridoio collegasse l'appartamento di Ferdinando con il convento e con la chiesa, che raggiungeva inosservato per assistere alle celebrazioni solenni dalla tribuna ducale.

Se non fosse per le sedie di foggia moderna allineate lungo la navata, si potrebbe credere di essere ancora al tempo dei Borbone-Parma : gli arredi liturgici sono quelli originali settecenteschi e le cappelle laterali sontuosamente arricchite dai capolavori dei più importanti artisti di Parma dell'epoca.

Alzando gli occhi sulla cupola, mirabilmente affrescata da Domenico Muzzi, par di venire risucchiati fra i santi che glorificano l'Incoronazione della Vergine. 









Ma non è stata la magnificenza dei marmi, dei paramenti e del monumentale organo del Serassi (ben 2898 canne!) ad emozionarmi di più : non so perchè, sono stata inspiegabilmente attratta da un'opera di Gaetano Callani , un gruppo scultoreo in cartapesta fatto per essere portato in processione.

Non riuscivo a staccarmene e l'ho fotografato in tutte le angolazioni, colpita dalla sua aura drammatica. 
Una volta a casa,   documentandomi ho scoperto che raffigura la Vergine, attorniata dagli angeli,  mentre sale in cielo cantando: solo che a me non sembrava affatto un canto, bensì un grido di dolore..
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Guarda caso, la Vergine sembra rivolta in direzione dell'ex Convento di San Domenico : ora in abbandono, è il luogo che custodisce la parte più cupa della storia  di Colorno.




   
Per oltre cent'anni infatti, sia l'ex convento che una parte della Reggia, furono adibiti a sede provvisoria dell'Ospedale Psichiatrico di Parma.
Era il 1873 : dopo l'Unità d'Italia il complesso del Palazzo Ducale fu dismesso, svuotato e ceduto da Casa Savoia al Demanio Italiano e, successivamente, alla Provincia di Parma che lo adibì appunto a ospedale psichiatrico.

Come spesso accade, il provvisorio divenne definitivo fino al 1978, quando fu approvata la famosa "Legge Basaglia" per la chiusura degli ospedali psichiatrici.
Io stessa, durante i pochi anni vissuti a Parma, ricordo la fama sinistra di cui godeva il manicomio di Colorno : una sorta di "Uomo Nero" un luogo che nelle conversazioni si citava comunemente. Anche fra bambini, quando si voleva tacciare qualcuno di bizzarria o stranezza, gli si domandava "Ma vieni da Colorno?"
Anche oggi, solo a guardare dall'esterno le finestre dell'ex-convento, vengono i brividi.




Dentro, pare sia stato tutto abbandonato così com'era al momento della chiusura, letti, suppellettili e poveri oggetti,  testimoni di  un capitolo oscuro di sofferenza e degrado. 
Negli ultimi anni, arrivano qui gruppi di cosiddetti "esploratori urbani" e cacciatori di presenze soprannaturali, che pare infestino il luogo. 
Dopo quest'immersione nell'oscurità, sentivo il bisogno di ritrovare la luce fra i fiori in esposizione nel Giardino Storico della Reggia.

Ai tempi di Francesco Farnese il "Grande Parco" ospitava una Grotta Incantata popolata da automi, rappresentanti le divinità mitologiche, capaci di muoversi e perfino cantare grazie a complessi meccanismi idraulici.  



Trasformato dal Petitot secondo i dettami della moda francese in voga a Versailles, fu successivamente convertito in un romantico parco all'inglese da Maria Luigia D'Austria, cui fu assegnato il Ducato e quindi anche il palazzo dopo la caduta di Napoleone. 

Anche il giardino però condivise il destino di abbandono e spoliazione del Palazzo Ducale. Progressivamente abbandonato negli anni dopo l'Unità d'Italia, subì seri danni nella Seconda Guerra Mondiale.
La fontana di Proserpina, dopo essere stata acquistata dalla famiglia Rotschild si trova ora in Inghilterra, nel parco di Waddesdon Manor, mentre quella del Trianon si trova nel Parco Ducale di Parma e altre statue sono presso il Castello di Montechiarugolo.




Quasi tutti gli arredi delle sale degli appartamenti ducali invece furono distribuiti   nei vari palazzi dei Savoia, tra cui il Quirinale a Roma, Palazzo Pitti a Firenze, il Palazzo Reale di Torino e la Palazzina di Caccia di  Stupinigi. 

Peggior sorte hanno avuto il prezioso lampadario della Sala Grande e quello della sala della musica, che si trovano oggi all'estero presso la Wallace Collection di Londra.

Recentemente, dopo la Reggia anche il giardino ha ritrovato il fasto del periodo farnesiano col ripristino storico del parterre centrale, il laghetto e i giochi d'acqua di stile francese ad opera dalla Provincia di Parma.





Come arrivare a Colorno e visitare la Reggia

Io ci sono arrivata in  15 minuti di treno da Parma. Bisogna prendere uno dei regionali che transitano sulla linea per Brescia. Controllate bene anche il ritorno però, perchè in certe fasce orarie la frequenza è più scarsa.
Altrimenti in bus: con la linea urbana 2 nei giorni feriali, che opera con cadenza oraria, oppure con la linea extra-urbana Tep. Per informazioni 800 977 966 o http://tep.pr.it .

Se preferite muovervi in automobile, autostrada A1, uscita Parma, quindi SS 343 per Colorno.

La Reggia è visitabile esclusivamente con visite guidate di gruppo.
Trovate orari e informazioni sul sito ufficiale http://www.turismo.comune.colorno.pr.it  oppure tlefonando al numero 0521 313790.



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