Erano anni che sognavo quest'isola remota, smarrita nell'Oceano Indiano come un vascello privo di àncora, tanto che ormai disperavo di vederla davvero. Contrattempi, incidenti e anche considerazioni razionali avevano più volte rimandato e poi cancellato il viaggio.
Ci voleva invece una decisione improvvisa e irragionevole perché finalmente ci andassi: irragionevole, perché su tutte le guide si sconsiglia di viaggiare in quella parte dell'Oceano Indiano durante la stagione dei cicloni.
Ho scelto di partire ugualmente, seguendo un impulso irresistibile e sfidando la fortuna. Mi sono detta: non troverò un ciclone proprio nella settimana del mio soggiorno, la probabilità e' trascurabile.
Infatti, non ho trovato un ciclone, ma ne ho trovati due, a distanza di tre giorni uno dall'altro: Funani é stato il primo, poco più rabbioso di un temporale, mentre il secondo -battezzato Gelena - si è abbattuto turbinoso sull'isola, devastando e distruggendo.
Eppure, proprio l'esperienza spaventosa di una Natura indomabile, ha reso questo mio viaggio uno dei più straordinari fatti finora: perché l'ho vissuta condividendola con gli abitanti, ma anche con altri viaggiatori come me nel vero spirito del viaggio, come devono aver fatto gli esploratori che per primi sbarcarono qui.
Dedicherò altri articoli alla bellezza di Rodrigues, alla dolcezza e al calore della sua gente, alle sue spiagge spettacolari, lunghissime e deserte e vi dirò anche come raggiungere questo lembo di terra meraviglioso: ora invece voglio condividere solo l'emozione provata quella notte, con quanto ho scritto di getto la mattina dopo il passaggio di Gelena.
"Ora che la luce del giorno é tornata, non sembra vero. Non sembra vero di avere vissuto una notte come quella appena trascorsa, in balìa del ciclone.
Per quanto temibile, é un'esperienza che ha di nuovo confermato - se ce ne fosse stato bisogno- l'indomabile potere della Natura. Sembra un luogo comune, che troppe volte diamo per scontato, senza però comprenderne la profonda verità: per farlo, bisogna viverne l'esperienza.
Il vento è stato terribile: verso le tre del mattino, le raffiche hanno raggiunto un'intensità spaventosa, ruggendo e piegando ogni cosa al passaggio. Il rumore tremendo copriva persino quello del mare oltre la collina, dove erano previste ondate di altezza straordinaria.
Già dalla serata, per misura precauzionale, l'energia elettrica era stata interrotta e,nel buio, le sagome degli alberi scossi dal vento sembravano gridare in silenzio, come anime dannate.
Ognuno nella propria stanza era solo: io e l'altra ospite Christine al primo piano, la padrona di casa Guilmette e i suoi figli al pianoterra. Eppure, per qualche ragione che ancora non comprendo, non mi sentivo davvero sola, eravamo uniti nella muta attesa che tutto passasse.
Non ci crederete, ma anche se a momenti ho avuto davvero paura, sono grata per avere avuto il dono di vivere quest'esperienza: non so ancora perché, lo capirò meglio col tempo, ma ora mi sento così. Soprattutto, sono grata per esserne uscita indenne.
Stamattina si sono visti i danni intorno alla guest house dove alloggio: l'albero di mango, la papaya, il banano spezzati, come la moringa e gli altri cespugli fioriti. Sulla strada di fronte altri alberi divelti, i cavi del telefono strappati e così anche quello della luce.
Qui siamo sulla costa est, la meno esposta al passaggio della perturbazione e tutti ci chiediamo cosa abbiano vissuto gli abitanti a sud, relativamente più prossimi all'occhio del ciclone.
Eppure, prima dell'alba il gallo della casa accanto ha cantato di nuovo come se nulla fosse. Appena chiaro, molti sono usciti per sgombrare i detriti intorno casa, mentre i pescatori sono scesi alla spiaggia per controllare lo stato delle barche.
La vita riprende il suo ritmo, lentamente. E, sembra impossibile, ma dalla strada ora qualcuno passa, seminando la musica allegra del Séga Tambour"
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